Come stanno i coworking in Italia

I coworking in Italia hanno visto una crescita costante nel tempo. Per chi la sceglie è una scelta locativa e uno stile lavorativo. Coinvolge la condivisione di un ambiente di lavoro e mantiene un’attività indipendente. Spesso nella contaminazione e collaborazione tra coworker nascono nuove opportunità di lavoro.

Il primo spazio di coworking propriamente è nato a San Francisco nel 2005 ad opera di Brad Neuberg. Poi la diffusione ha attraversato l’Atlantico e attualmente sono attivi in Italia 551 strutture.

Non bisogna confondere il coworking con altre modalità di lavoro, come gli acceleratori di affari, gli incubatori di impresa, business center e le suite per dirigenti. In tutti questi casi manca infatti l’aspetto del processo sociale, collaborativo e informale, che caratterizza i coworking.

Secondo una recente ricerca realizzata da Italian Coworking Survey 2018 realizzato da GoDesk, a circa un decennio dallo sbarco del coworking in Italia, il numero di spazi, operatori, addetti e fruitori è cresciuto rapidamente fino superare quota 550 esperienze sul territorio nazionale. Ovvero 1 coworking ogni circa 108 mila abitanti. Il fenomeno è distribuito in ogni regione e tra grandi e piccoli centri urbani. Al Nord hanno sede oltre 300 coworking, il 55% del totale. Ma sono cresciuti anche gli spazi al sud nelle isole, che risultano al gennaio 2018 126, pari al 28%.

Perché lavorare in un coworking?

Secondo un’indagine promossa da myCowo le persone scelgono un coworking perché:

  • l’86% per gli spazi condivisi (soprattutto per la flessibilità degli orari e dei luoghi);
  • l’82% reputa fondamentale la possibilità di interagire con altre figure professionali ed eventualmente istituire collaborazioni;
  • il 61% è attratto da questa formula anche per i bassi costi di affitto rispetto agli uffici tradizionali, magari in “solitaria”.

Ma i coworking in Italia devono fare i conti con la realtà

Al 2017 solo il 30% dei coworking in Italia ha un bilancio in attivo e potenzialmente genera profitti. La quota complessiva scende drammaticamente per i coworking settoriali (principalmente destinati a specifici gruppi di professionisti) e per quelli a vocazione sociale. Sebbene circa l’80% di coworking sia fondato da società (srl, spa, ecc.), solo 1/3 nasce con l’aspirazione di “fare business”. La maggioranza avvia il progetto con motivazioni quali: la ricerca di nuovi clienti o la visibilità per un’altra attività principale (44%) o semplicemente ridurre le spese della propria struttura (20%).

Il break even point arriva dopo 3 anni

I coworking in Italia operano in un mercato ancora nuovo in cui è ancora necessario stimolare la domanda di spazi in condivisione. Dopo 3 anni la maggioranza dei coworking è in attivo, ma già dopo il secondo anno di attività la quota dei coworking in perdita scende significativamente.

Il periodo di startup varia comunque a secondo del target clienti del coworking. Gli spazi aperti a specifici gruppi (di professionisti o gruppi sociali) devono resistere più a lungo nella zombie-land (poche perdite – nessun guadagno).

Come aprire un coworking di successo in Italia

L’investimento medio dei coworking italiani si aggira intorno ai 50 mila euro, solo il 13% investe oltre 100 mila euro. In base alla ricerca risulta che sotto i 10 coworkers in media all’anno non si va da nessuna parte (e probabilmente non ci si potrebbe definire coworking). La soglia di membri per il raggiungimento della redditività resta intorno alle 20 postazioni. Funzionano quelli che occupano 100mq, poiché l’affitto pesa circa il 41% del totale delle uscite.

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