Moretti Polegato jr: “Così ho rilanciato Diadora, patrimonio sportivo italiano”

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“Un patrimonio italiano dello sport rischiava di andare perduto. Abbia- mo così deciso di acquistare e rilanciare Diadora per tre motivi: il logo biforcato non lo conosceva più nessuno, i fondi interessati avrebbero snaturato l’azienda e soprattutto è una mia s da personale”. Enrico Moretti Polegato, glio del patron della Geox, ha spiegato così la scelta della famiglia di Crocetta del Montello (Treviso) di acquistare e rilanciare lo storico marchio dello sportwear italiano.
Moretti Polegato Jr è stato ospite della facoltà di Economia di Padova, invitato dal professore Giovanni Costa (Strategia d’Impresa), per raccontare la storia della Diadora, rinata dopo la decisione presa otto anni fa di rilevare l’azienda di Caerano San Marco (Treviso) acquistandola per circa 15 milioni di euro, attraverso la nanziaria Lir.

Allora Diadora era un fascicolo del Tribunale di Treviso, finita in concordato, in attesa di trovare un nuovo acquirente o destinata al fallimento. Fondata dalla famiglia Danieli nel 1948 poco lontano da Montebelluna, è stata la prima a puntare sui testimonial (da Bjorn Borg a Baggio, da Van Basten a Boris Becker, per citarne solo al- cuni). Enrico Moretti Polegato, 36 anni, oggi presidente e ad di Dia- dora, all’Università di Padova c’era passato da studente tra i banchi di Giurisprudenza. Dopo la laurea, il praticantato, quindi l’esame di stato. “Raggiunto il titolo, ho capito che la vita di avvocato non era fatta per me, volevo fare l’imprenditore – racconta -. Anche se poi un’avvocato l’ho sposata”.

Casa a Cannaregio (Venezia), passione per la corsa, nita anticipatamente la carriera in tribunale si sono ovviamente aperte le porte della Geox, dove già lavorava du- rante gli studi. “Avrei potuto farmi mandare un po’ ovunque nel mon- do, dagli Usa a Hong Kong, ma sarei sempre stato il glio del “capo” e questa cosa non fa per me”, spiega. Quindi l’occasione di mettersi alla prova con Diadora, ricoprendo la carica di amministratore delegato e presidente. La “cura Polegato” dura da 8 anni, ora si raccolgono i frutti con un fatturato in crescita del 18,4% a cambi costanti (“Da sempre l’azienda si auto nanzia”).
“La prima cosa da fare – continua Moretti Polegato – era quella di identi care i valori del brand e di rilanciare il marchio. Anzitutto abbiamo de nito la nostra identità, legata a doppio lo allo sport. Poi abbiamo pensato alla nostra storia, un patrimonio che garantisce l’autenticità del prodotto. Noi recuperiamo anche modelli passati, ma che sono “veri” nel senso che sono stati realmente nostri prodotti degli anni ‘70, ‘80 e ‘90”.

Quando è stata rilevata la società, l’impressione era che non comunicasse più, nonostante una storia pluridecennale alle spalle. “L’azienda era andata in crisi negli anni 2000, è mancato l’adattamento all’evoluzione del mercato, capita a molti – spiega Polegato -. Guarda i dinosauri, grandi e grossi, non hanno saputo adattarsi e sono spariti. Mentre le tartarughe, fragili se confrontate a loro, ci sono ancora”. E il pensiero va ai grandi colossi d’Oltreoceano, senza mai citarli. “Stiamo lavorando per a rontare al meglio il mercato degli Stati Uniti”. Continua il presidente: “Inoltre, abbiamo dato grande importanza all’innovazione, che non deve consistere in un brevetto astratto, ma costituire una realtà tangibile: l’atleta deve sentirsi meglio e ottenere prestazioni migliori”.
Il fatturato 2016 è di 152,6 milioni (era a 70 nel passaggio di proprietà), mentre quello aggregato arriva a 261 milioni (che aggiunge anche quello dei licenziatari, presenti in alcuni mercati lontani). Ora l’Italia pesa il 60% delle vendite, il resto viene fatto all’estero: principalmente Europa, Corea del Sud e Giappone. Presenti in 60 Paesi, direttamente o indirettamente, in alcuni mercati in licenza con partner industriali (specie in Sudamerica, dove ci sono dazi).

Di integrazione con Geox non se ne parla. “Le due aziende hanno poco in comune, a parte il cognome dei presidenti, ed io che siedo in entrambi i cda – prosegue Moretti Polegato -. Poi però la distribuzione commerciale è diversa, come lo sono i settori e le strategie. Ma soprattutto perché io mi diverto da solo”. Recentemente è stata introdotta la tecnologia Diadora Blushield, nata nel centro ricerche di Caerano San Marco, che modi ca il modo di concepire il running. La maggior parte dei corridori riscontra infatti problemi di iper-pronazione, oltre ad un’asimmetria nella corsa tra il piede destro e il piede sinistro. Nelle calzature Diadora Blushield la scarpa si adatta al nostro corpo e non il contrario. Così si minimizza la tendenza asimmetrica dei piedi e trasforma l’appoggio irregolare in una corsa bilanciata, che combina perfettamente assorbimento ed elasticità, producendo una corsa più veloce e dinamica.

Con il passaggio di proprietà i dipendenti erano una quarantina, oggi sono saliti a 240, molti ex sono stati riassunti. L’età media dei dipendenti è 37 anni.
Vecchi consumatori da riconquistare e la s da per raggiungere quelli che non hanno vissuto la “vecchia” Diadora, sono le sfide del nuovo management: “Grande attenzione al mondo social e inclusività esterna, far sentire tutti parte di Diadora”.

Recentemente una campagna online molto riuscita ha documentato la consegna ad un ignaro acquirente di Barcellona di un paio di scarpe portate con una sta etta di 1.500 Km da Caerano San Marco no alla città spagnola, che ha visto la par- tecipazione anche dell’olimpionico Gelindo Bordin.
L’iniziativa racchiude in sè la nuova loso a del brand “make it bright”, fare le cose in un modo che sia unico e identi cativo del brand, il trasformare l’ordinario in straordinario. Come ad esempio trasformare una semplice consegna di un paio di scarpe, in un’avventura che ha al centro lo sport, ma soprattutto la gioia di fare sport.

“Altro elemento forte è stata l’a er- mazione dell’italianità, con il reshoring della produzione in patria – conclude Moretti Polegato -. Oggi a Caerano San Marco si produce il top di gamma, cioè un’edizione limitata di pregio. L’obiettivo è arrivare entro l’anno a 100 mila paia e nei prossimi tre a coprire il 7-10% della produzione totale dell’azienda”. (nb)